Casteldaccia: Il dolore di un figlio, "Lavorare sì, ma tornare a casa è sacro"
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La tragedia di Casteldaccia ha lasciato una ferita profonda nella comunità e nelle famiglie delle vittime. Tra le voci di dolore, risuona quella del figlio di uno degli operai deceduti nell'incidente sul lavoro. Con parole cariche di emozione, il giovane ha dichiarato: "Lavorare è un diritto, un bisogno per vivere, ma tornare a casa è un obbligo, un diritto altrettanto fondamentale che purtroppo a mio padre è stato negato".
La sua testimonianza sottolinea la fragilità del lavoro in alcuni settori e la necessità di maggiori controlli per prevenire simili tragedie. La perdita di un padre, di un lavoratore, è un dolore immenso, amplificato dalla consapevolezza che la morte potrebbe essere stata evitata con maggiori garanzie di sicurezza sul posto di lavoro. Le parole del figlio mettono a nudo la precarietà di molti contesti lavorativi, dove il rischio si cela dietro l'urgenza del guadagno.
La tragedia di Casteldaccia non è un caso isolato, ma un campanello d'allarme che scuote le coscienze e richiama l'attenzione sulla necessità di una maggiore attenzione alla sicurezza sul lavoro. Il grido di dolore di questo giovane, che perde non solo un padre ma anche un punto di riferimento, diventa la voce di tanti altri lavoratori che ogni giorno affrontano rischi spesso sottovalutati. La sua frase, "Lavorare sì, ma tornare a casa è sacro", diventa un monito per istituzioni e aziende, un appello a investire in sicurezza e prevenzione, evitando che altre famiglie debbano soffrire una perdita così straziante.
L'inchiesta sulle cause dell'incidente è ancora in corso, ma la testimonianza del figlio di una delle vittime rappresenta un'accusa silenziosa ma potente contro l'indifferenza e la negligenza, elementi che spesso si celano dietro le tragedie sul lavoro. La sua frase, semplice ma incisiva, rimarrà a lungo impressa nella memoria collettiva come simbolo del rischio zero che dovrebbe caratterizzare ogni ambiente lavorativo.